Tutelare il mare e le risorse che custodisce. Sembra essere questo l’attuale imperativo dell’opinione pubblica internazionale in tema di sostenibilità. Lo testimoniano le iniziative di sensibilizzazione come la Giornata del mare, domenica 11 aprile, o l’istituzione del Decennio delle Scienze del Mare, indetto dalle Nazioni Unite per sottolineare l’urgenza di intervenire sull’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030. Ma che significato ha la parola sostenibilità in relazione al mare? Davvero per tutelare il più importante serbatoio di biodiversità della terra, l’uomo deve interrompere l’attività di pesca, gli esseri umani smettere di consumare pesce, fonte primaria di proteine intorno alla quale si sono sviluppate nel corso dei millenni tecniche di pesca artigianali, economie costiere, culture e tradizioni gastronomiche? Secondo Slow Food e Slow Fish, è necessario fare una distinzione tra la pesca industriale, che risponde alle logiche dell’attuale sistema di produzione, distribuzione e consumo, e la pesca artigianale, che necessariamente nasce e si sviluppa intorno alle comunità locali con un approccio basato sulla conoscenza e il rispetto del mare. Esistono diversi esempi in cui i pescatori, il settore pubblico, la società civile e la comunità scientifica si sono uniti per gestire collettivamente le risorse, ma sono modelli che hanno bisogno di essere riconosciuti legalmente e con il necessario supporto economico per non rimanere iniziative meritevoli quanto estemporanee. La chiave è quindi la co-gestione: alcune forme sono attive da oltre mille anni, altre sono nate solo nell’ultimo decennio. Le Prud’homies del Mediterraneo in Francia sono riconosciute dalla legislazione nazionale (due di esse sono anche un Presidio Slow Food), ma generalmente esiste un vuoto normativo in merito a queste iniziative, a livello sia nazionale sia europeo. Un esempio perfetto di co-gestione moderna è l’area di pesca protetta di Os Miñarzos, in Spagna, che coinvolge oltre 190 pescatori, università e Ong, autorità locali e nazionali nella gestione di un’area di 2000 ettari. In Italia va in questa direzione l’istituzione della prima Oasi Blu nel mare di Ugento, in Puglia, uno specchio di mare noto ai ricercatori per via delle importanti aree di riproduzione anche a diverse miglia dalla costa e per le praterie di posidonia. Qui la pianificazione delle attività di pesca e i sistemi adottati mirano a favorire la conservazione e la gestione razionale delle risorse biologiche del mare. In pratica a Ugento è stato invertito il paradigma: si tutelano i pescatori per tutelare il mare» sottolinea Marco Dadamo, direttore del Parco Naturale Regionale “Litorale di Ugento”.

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