Le ondate di calore e l’aumento delle temperature creano gravi squilibri all’ecosistema marino, riducendone la biodiversità. Scompaiono così coralli e molluschi e per pescare occorre andare sempre più al largo. È l’allarme lanciato da Slowfish, la manifestazione recentemente conclusasi a Genova. L’aumento delle temperature, anche alle nostre latitudini opprime, e non soltanto noi. “Fino a poco tempo fa, lamentano i pescatori, a riva trovavamo i frutti di mare, i muscoli, le patelle e persino le ostriche, mentre oggi le scogliere si stanno desertificando. Per pescare occorre andare sempre più lontano dalla costa ligure, raggiungere le aree in cui la temperatura è più bassa e dove i pesci trovano le condizioni migliori per vivere”. Qualche esempio? “La triglia bianca viveva tra i 20 e i 40 metri dalla costa, mentre adesso la peschiamo oltre i 70. Il pesce prete lo trovavamo dai 20 ai 25 metri, mentre ora sta tra i 35 e i 70. La razza? Si è allontanata dai 25-30 metri di un tempo fino ai 40-60 di oggi. Il gambero rosa, per il quale ci spingevamo fino ai 200 metri, oggi lo peschiamo intorno ai 300-400. E il gambero rosso si è allontanato ancor di più: se un tempo lo trovavamo a 400-500 metri, oggi occorre andare anche oltre ai 700”. Ma anche il fondale marino sta cambiando. Da oltre vent’anni assistiamo a periodiche morie di massa – prosegue Betti -, le più gravi delle quali sono state nel 1999 e nel 2003. Le ondate di caldo forte e prolungato hanno colpito gli organismi del fondo come ad esempio le gorgonie, che sono coralli molto grandi e importanti perché ospitano molti pesci nelle fasi giovanili, ma anche spugne, molluschi come l’arca di Noè, e recentemente anche la pinna nobilis, un mollusco endemico del Mediterraneo, è a rischio estinzione per via di un’infezione da parte di un protozoo favorito, presumibilmente, proprio dall’aumento delle temperature delle acque». Fenomeni di questo genere, che avvengono sott’acqua e perciò pressoché sconosciuti al grande pubblico, hanno gravi conseguenze: “Assistiamo alla cosiddetta omogeneizzazione del fondale, segnala Federico Betti, biologo dell’Università di Genova. Il che significa che nei nostri mari vivono sempre meno specie arborescenti e spugne: una riduzione della biodiversità che causa squilibri ecosistemici e innesca interazioni tra organismi differenti da quelle consuete. In altre parole, l’ecosistema si semplifica, è meno resiliente e meno resistente, quindi più fragile”. “Il Mediterraneo, spiega poi Maurizio Würtz, anch’esso dell’Università degli Studi di Genova, è una macchina termoalina, funziona cioè in base alla sua temperatura e alla salinità. La preoccupazione è che gli strati superficiali si riscaldino al punto da bloccare i flussi verticali delle masse d’acqua, e che pertanto non si crei quel rimescolamento con le acqua profonde che assicura il ripopolamento e rende possibile la pesca di grandi predatori come i tonni”.

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