Negli ultimi cinque anni la produzione di latte vaccino in Italia è significativamente aumentata, superando i 12,6 milioni di tonnellate nel 2020 (+13,4% rispetto al 2015, + 4,4% tra il 2020 e il 2019). La maggior parte dell’incremento produttivo si è realizzato nelle regioni del Nord Italia (Lombardia +19%, Emilia Romagna +15%, Veneto + 6,0%, Piemonte +15%), ma anche in alcune regioni del Mezzogiorno (Puglia +12%, Sicilia e Basilicata +11%, Calabria +17%). A fronte dell’aumento delle consegne di latte (+13% nell’ultimo quinquennio), il prezzo alla stalla del latte nazionale è mediamente aumentato del 3% tra il 2015 e il 2020.
Nei prossimi cinque anni la produzione di latte bovino in Italia aumenterà ancora del 10-15%, con un tasso di variazione medio annuo del 2-3%, destinato a proseguire fino al 2030, per poi affievolirsi nei decenni successivi. È la previsione sulla produzione del latte bovino in Italia realizzata da Ismea, commissionato da Alleanza Cooperative Agroalimentari, presentato a Verona nell’ambito della terza edizione del Dairy Summit, gli stati generali della filiera lattiero-casearia.


In conseguenza della maggiore disponibilità di materia prima nazionale, le importazioni di latte dall’estero dovrebbero subire una contrazione dell’8% in volume, considerando anche la maggiore disponibilità di materia prima nazionale e il calo della domanda interna. Ottimistiche anche le previsioni sulle esportazioni, +25% in volume nei prossimi cinque anni. Nel report di Ismea delineate poi le stime sulla produzione di latte bovino nazionale: l’Italia raggiungerà l’autosufficienza teorica in termini di materia prima in pochissimi anni, (oggi è ferma all’80%).
Che fare quindi? A questa domanda risponde Giovanni Guarneri, coordinatore settore lattiero-caseario di Alleanza Cooperative Agroalimentari: “Affinché il significativo aumento della produzione di latte a livello nazionale sia sostenibile da un punto di vista economico la filiera dovrà affidarsi ad una strategia che punti, da un lato, a sviluppare nuovi canali commerciali aumentando l’export dei prodotti caseari (anche in considerazione delle prospettive di crescita della domanda mondiale) e, dall’altro, riesca ad individuare e implementare nuovi segmenti di mercato con destinazioni alternative della materia prima latte.”

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