Come sempre principi di indirizzo generale (bla, bla bla…?) ampiamente condivisibili; ma se si va a cercare fra le righe dei diversi articoli si scoprono le grandi contraddizioni fra cosa e come andrebbe fatto e cosa si sta concretamente facendo. Flebili luci e molte ombre nel documento conclusivo della Cop26, ovvero la XXVI Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, appena conclusasi a Glasgow, in Scozia. Quindi decisioni e impegni concreti sono ancora rimandati all’anno prossimo auspicando che nel frattempo vengano messi a punto quei meccanismi di verifica, controllo e coerenza delle azioni concrete proposte dai singoli Stati.
È la posizione di molta parte del mondo che si impegna perla difesa dell’ambiente come Greenaccord Onlus. Il suo direttore scientifico Andrea Masullo, sul “Glasgow Climate Pact”, il documento finale di Cop26, rimarca che ancora una volta, il rischio è che le dichiarazioni di intenti non si traducano in azioni concrete.
Infatti se è vero che per la prima volta un testo della COP parla di combustibili fossili, è anche vero che le conclusioni hanno dovuto recepire le indicazioni della Cina, dell’India e dell’Arabia Saudita da rendere meno prescrittivo il processo di abbandono di queste fonti energetiche: ad esempio l’eliminazione accelerata dei sussidi ai combustibili fossili si applica solo a quelli “inefficienti”, mentre l’abbandono del carbone vale solo per i progetti “unabated”, ossia quelli che non prevedono la cattura e lo stoccaggio delle emissioni di anidride carbonica.
Ma le contraddizioni non si esauriscono qui; riguardo al sostegno dei paesi poveri non si è andati oltre un “profondo disappunto” per il mancato rispetto dell’impegno preso a Parigi di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020. Anche la “Forest Declaration” con gli impegni a conservare ed ampliare le foreste mondiali, mostra subito i propri limiti. Facciamo notare – precisa Masullo – che ciò mira a compensare le emissioni che non si intende evitare, mentre per mantenere accesa la speranza di poter ancora limitare il riscaldamento globale ad 1,5°C, l’assorbimento forestale dovrebbe essere speso come una carta aggiuntiva. Significativo il colpo di scena finale, grazie ad un orpello lessicale estremamente eloquente: la sostituzione del termine uscita dal carbone con “riduzione dell’uso del carbone”, senza che siano definite date o una road map.
La classe politica – come afferma anche papa Francesco – continua a non rivelarsi all’altezza delle nuove sfide globali. Complessivamente, da Cop26 emerge un quadro inquietante ed incoerente che, dopo 26 anni di risultati ampiamente inadeguati agli obiettivi, fanno dubitare se una classe politica figlia di quel modello di sviluppo che si intende cambiare sia davvero in grado di recidere le radici su cui siede. Forse è giunto il momento che altri stakeholder prendano in mano la situazione in modo da trainare la politica ad assumersi le proprie responsabilità con maggior coraggio. Ci riferiamo, sottolinea Masullo, al mondo della finanza e dell’industria green, ai rappresentanti delle amministrazioni locali e della società civile, il cui coinvolgimento è genericamente evocato anche nel Patto di Glasgow.
Positiva, invece, l’adesione dell’Italia – benché col solo con lo status di “amico”, alla BOGA-Beyond Oil&gas Alliance, un’intesa che mette in programma lo stop alle licenze e alle concessioni per nuove esplorazioni di giacimenti di petrolio e gas, per arrivare alla “carbon neutrality” entro il 2050.
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