Esiste un legame antico fra la Serenissima Repubblica di Venezia e quel vino denominato “malvagìa o marvasiae” diventato un grande vitigno diffuso in tutta Europa, oggi coltivato in 30 località sparse nel mondo, di cui almeno 17 in Italia? Senza la Serenissima oggi il vitigno e il vino Malvasia non esisterebbero. Venezia, è stato detto dai presenti, può assumere il titolo di simbolo-emblema per raccontare il mondo produttivo dei vini “malvasiae”.
“Tutti i vitigni di Malvasia oggi esistenti (circa 30 nel mondo), ricorda Gianpiero Comolli – presente assieme a da Ettore Bonalberti e Mario Guadalupi di AIKAL, Michele Giannini e Stefano Soligo di Veneto Agricoltura, Giustino Mezzalira V.Presidente e Danilo Gasparini (Pres. CTS), nella prestigiosa Biblioteca La Vigna di Vicenza, dove si è tenuto l’incontro -, hanno genomi e Dna direttamente derivanti dal ceppo dei ‘muskat’ anatolici-caucasici-mesopotamici, come ci insegna il Prof. Attilio Scienza”.
Per questo parliamo di Malvasia?
“Si, questa è la dimostrazione pratica di come la natura, il tempo, i luoghi, i terreni, i climi sono intervenuti sulla base cromosomica e genomica originaria modificandola nel tempo con l’aiuto fondamentale dell’uomo. Questo è il vero tema di questo progetto: quanto la Vitis Vinifera sia da tutelare per quanto ha dato al mondo ampelografico ed enologico. Per esempio, continua Comolli già produttore di Malvasia e Presidente del centro analitico CevesUni e dell’Osservatorio economico Ovse, al tempo di Leonardo da Vinci esisteva solo il ‘vino marvagia o malvasiae’ veneziano, non il vitigno. È una delle cultivar che più si è adattata e mutata naturalmente nei millenni di coltivazione, portando con se caratteri solidi della Vitis Vinifera che non vanno persi, proprio con la ricerca della resistenza. Venezia e la Serenissima Repubblica, sono stati il baricentro della conoscenza e della diffusione del vino Malvasia nel mondo. Un vino di pregio a un costo molto superiore ad altri, talmente noto da dare nome a calli e alle esclusive botteghe “malvagie” veneziane. Come detto, un vitigno derivante dalla grande famiglia viticola dei ‘muskat’, riconosciuto ampelograficamente e denominato in diverse varietà solo agli inizi dell’800”.
Concretamente, durante l’incontro Ettore Bonalberti ha presentato il progetto diviso in tre momenti: il seminario aperto; uno sviluppo etnografico scientifico del vitigno e vino “Malvasia”; un evento fisso che coinvolga la produzione dell’intero bacino mediterraneo. Si è accennato anche alle nuove figure dei viti-cultori del terzo millennio in considerazione dell’attualità e delle diverse prospettive generazionali. Ad esempio, oggi in Veneto sono solo 73 gli ettari coltivati con viti di Malvasia, ha ricordato Stefano Soligo.