La Russia è il principale esportatore mondiale di grano ma la dipendenza dell’Italia risulta limitata con appena il 2,3% del totale del grano importato dall’estero, tra duro e tenero. L’Italia lo scorso anno ha importato dalla Russia circa 153 milioni di chili di grano, dei quali 96 milioni di chili di tenero per la panificazione e 57 milioni di chili di duro per la produzione di pasta (dati Istat). A preoccupare sono le difficoltà nelle semine primaverili di cereali in Ucraina che saranno praticamente dimezzate; avverranno cioè su una superficie di 7 milioni di ettari rispetto ai 15 milioni precedenti all’invasione della Russia, che sta bloccando anche le spedizioni dai porti del Mar Nero.
Si tratta di un taglio significativo anche alla luce delle difficoltà del commercio internazionale di materie prime agricole in una situazione in cui – indica la Coldiretti – molti Paesi stanno adottato misure protezionistiche, bloccando le esportazioni.
Se è vero che dall’Ucraina in Italia arriva appena il 2,7% delle importazioni di grano tenero per la panificazione per un totale di 122 milioni di chili, va segnalato che arriva anche ben il 13% delle importazioni di mais destinato all’alimentazione degli animali per un totale di 785 milioni di chili. L’Italia importa circa la metà del mais di cui ha bisogno, prevalentemente da Ungheria 30% (1,85 milioni di tonnellate), Slovenia 13% (780 mila tonnellate) e appunto Ucraina (770 mila tonnellate), per un totale di oltre 6 milioni di tonnellate (dati Divulga).
Tra pochi mesi inizierà la raccolta del grano seminato in autunno in Italia dove, secondo l’Istat, si stimano 500.596 ettari a grano tenero per il pane, con un incremento dello 0,5% mentre la superfice del grano duro risulta in leggera flessione dell’1,4% per un totale di 1.211.304 ettari anche se su questa prima analisi pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che potrebbero portare a rivedere il dato al rialzo. In questo contesto è importante il via libera dell’Unione Europea alla semina in Italia di altri 200mila ettari di terreno per una produzione aggiuntiva di circa 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, necessari per ridurre la dipendenza dall’estero. “Si tratta di un quantitativo, afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che nel medio periodo può aumentare di almeno cinque volte con la messa a coltura di un milione di ettari lasciati incolti per la insufficiente redditività, per gli attacchi della fauna selvatica e a causa della siccità che va combattuta con investimenti strutturali per realizzare piccoli invasi che consentano di conservare e ridistribuire l’acqua”.

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