Esistono diversi tipi di impatto ambientale e molteplici modi per quantificarli. Per evitare la proliferazione delle etichette ambientali una soluzione potrebbe essere quella di adottare un modello unico a livello comunitario. Per ora però la Commissione Europea è troppo impegnata nella contrastata definizione dell’etichetta nutrizionale, con l’Italia che si oppone alla diffusione del NutriScore, non ci sono quindi le condizioni per adottare e rendere obbligatoria una etichetta ambientale. Ma se a livello comunitario le dinamiche sono rallentate, i singoli paesi dell’Unione si muovono.
Ad esempio, il Ministro per il cibo, l’agricoltura e la pesca della Danimarca, Rasmus Prehn, ha annunciato lo stanziamento di 1,2 milioni di euro per finanziare uno studio per definire un’etichetta ambientale da apporre sulle confezioni degli alimenti.
Il progetto durerà fino alla fine del 2022 e si inserisce tra quelli per la lotta ai cambiamenti climatici proponendosi di andare incontro al desiderio dei cittadini danesi di fare scelte più green. L’anno scorso, per la prima volta, l’impronta della CO2 è entrata a far parte delle linee guida nutrizionali, con l’invito ad aumentare il consumo di alimenti vegetali e a diminuire quello di carne.
Secondo i calcoli fatti, se i danesi di età compresa tra i 6 e i 64 anni seguissero quelle linee guida, potrebbero diminuire la propria impronta di carbonio tra il -31% e il -54%. D’altro canto, però, un’altra indagine, che ha coinvolto oltre 1.100 cittadini, solo due persone su dieci hanno espresso valutazioni corrette su otto alimenti comuni, mentre tre su quattro hanno ammesso di essere in difficoltà. Per questo il Governo danese ha deciso di percorrere la strada di una semplificazione e unificazione delle etichette ambientali così da evitare che compaiano sul mercato etichette ambientali differenti, che confonderebbero i consumatori e, in definitiva, sarebbero controproducenti.
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