Ve lo ricordate Ciccio Caruso, prolifico attaccante per vent’anni, sino al 2003 – Reggina e Triestina le squadre più blasonate, che ha calcato i campi soprattutto di serie B e C? I calciofili certamente. Beh!, ora è l’avvocato Francesco Caruso, che per l’Associazione Calciatori segue le vicende dei contratti dei giocatori dilettanti. Ma la sorpresa più grande è incotrare “Ciccio” a Termoli, sua città natale, nel ristorante di famiglia, “Da Nicolino”, una vera istituzione specie perché è l’interprete principale del Brodetto alla termolese, piatto che non si può non degustare se si è nei dintorni della cittadina molisana.
Termoli (CB), che guarda il mare Adriatico tra Abruzzo e Puglia, con la sua Cattedrale, il Castello e il borgo svevo, è uno storico porto, sia passeggeri – da qui i turisti si imbarcano verso le Isole Tremiti, che peschereccio – rifornisce la città e il suo Mercato Ittico di pesce freschissimo e di scampi (che spesso poi prende la via di Napoli…). È questo il pescato che finisce nel Brodetto, cotto a lungo in tegami di terracotta dove, su una base di olio, pomodori pelati e l’aggiunta di peperone verde, con sapiente sequenza, vengono dolcemente inseriti dalla storiche cuoche, prima i pesci di piccolo taglio (triglia, merluzzo, razza, etc.), quindi qualche cozza, cicala di mare, scampi… Un piatto unico, molto abbondante, che rispecchia Termoli, città di mare e crocevia: curiosamente proprio qui si incrociano il 42º parallelo Nord e il 15º meridiano Est, proprio quello del nostr fuso orario (Europa centro-occidentale).
Ma con quale vino acconpagnare il Brodetto? Con vitigni molisani ovviamente. Pochi km a sud, nelle campagne di Campomarino, fornte al mare, per 80 ettari si succedono vigne di Montepulciano e Trebbiano, Greco e Falanghina, Moscato, Malvasia, Sangiovese, Chardonnay, ma soprattutto di Titilia, il vero vitigno del territorio, che ben accompagna il Brodetto, anche in versione rosata o spumantizzata. Sono le Tenute Di Giulio che esprimono i vini Borgo di Colloredo, 200.000 bottiglie ma anche molto sfuso di qualità, capitanate dal rosso Riserva “Gironia”, un blend Montepulciano (80%) – Aglianico, dalle importanti note internazionali ma dove vaniglia e liquirizia indicano il respiro mediterraneo di un vino del territorio. Un territorio dove il mare ha caratterizzato gli avvenimenti. Proprio a Campomarino andava spegnendosi la cultura “arbreshe” portata dai profughi albanesi e dalmati nel secolo XVI°, fuggiti per l’invasione ottomana. A rivitalizzarla ci ha pensato Liliana Corfiati, pittrice milanese nativa di qui, attraverso una quarantina di murales dipinti in oltre 20 anni lungo le vie, sui muri delle case, con bello e appropriato stile naif.
La cultura, quello che non ti aspetti ma che c’è forte in quest’Italia per niente minore. Un esempio? Raggiungendo la vicina Guglionesi, leggermente all’interno, dove si produce tra l’altro un grande caciocavallo espressione dei dolci pascoli molisani e della consolidata e rinomata tradizione casearia locale – per chi non lo sapesse il suo nome deriva dall’uso di appendere, per la stagionatura, le forme legate a coppie, a cavallo di una trave, si resta affascinati dalla Cripta romanica di S. Maria Maggiore e dagli affreschi datati 1500-1600, che ritraggono scene del vecchio testamento.
Tornando ai prodotti locali, se esiste la produzione casearia non può non essere vivace quella dei salumi. E allora rientrando verso Termoli incrociamo il paese di S. Giacomo degli Schiavoni, nome anche questo legato a vicende storiche, per prendere un bel “cazzotto”; così Pasquale Berchicci, sapiente norcino, ha chiamato questo salume, un culatello stagionato 12 mesi sotto grasso di maiale. Ma imperdibili sono assolutamente anche la Ventricina, la pancetta, il guanciale e il fegatazzo (salsicce a base di frattaglie di maiale). Chi ama il pesce, può fermarsi nel vicino ristorante “Cian” dove la brava chef Miriana Lanzone non lo deluderà.
San Giacomo è anche importante per i suoi uliveti, del resto il Molise è terra d’olio, tanto da esprimere il V. Presidente dell’Associazione Città dell’Olio. Nicola Malorni, termolese, che attraverso gli storici frantoi termolesi Di Cencio (1922) e Kairos, una cooperativa sociale, gestisce una bella iniziativa: “l’olio di Fausto”, un prodotto che arriva dalla vicina Guardialfiera, da uliveti che le amiche e gli amici di “Fausto” hanno saputo trasformare in giardini, attraverso le tradizionali pratiche dell’olivicoltura molisana. Fausto è un ulivo secolare, scampato al fuoco; il suo tronco segnato dal tempo e dalle insidie della vita, i suoi rami gravidi di doni gratuiti e preziosi, abbraccia ed è stato abbracciato… offrendo molto e continuando ad offrire vita. Il nome Fausto – viene dal latino “faustus”, benevolo, fortunato – è significativo per il un progetto che infatti fa riferimento allo storia di resilienza dell’Ulivo Fausto, il cui obiettivo è il recupero degli uliveti in abbandono, che qui sono quasi il 40%, attraverso il lavoro delle persone fragili, specie donne che hanno subìto violenza.
Un Molise diverso, dove mare, enogastronomia, cultura, storia e solidarietà ben si fondono per un’esperienza profonda di bellezza e bontà.