Si, no, forse… sui vini dealcolizzati si è aperto un dibattito. I produttori stanno esplorando la possibilità di offrire bevande con ridotto o nullo contenuto alcolico, mantenendo però le proprietà benefiche dell’uva. Una pratica che tuttavia solleva interrogativi sulla qualità e sul profilo gustativo dei vini, specialmente per quanto riguarda l’equilibrio tra dolcezza, tannicità e acidità.
Il fatto
Partiamo dalla recente allerta dell’Oms sulle implicazioni tra vino e salute pubblica, la quale ha evidenziato una correlazione diretta tra l’alcol e almeno sette tipi di cancro, tra cui quelli al seno e al colon. Il relatore, capo operativo della Sanità americana, Vivek Murthy, ha chiesto l’introduzione di etichette sanitarie sulle bottiglie di alcolici, un passo che potrebbe segnare un cambiamento significativo nella consapevolezza pubblica riguardo ai rischi associati al consumo di alcol.
 
Ma cos’è il vino dealcolato?
Come dice il termine, è un vino privato della componente alcolica. Come specificato dall’Unione Europea, un vino ai definisce:

  • dealcolizzato (o dealcolato) se il tasso alcolometrico effettivo del prodotto non è superiore a 0,5 % vol.
  • parzialmente dealcolizzato (o dealcolato), se il tasso alcolometrico effettivo del prodotto è superiore a 0,5 % vol. ed è inferiore al 9%.
  • con grado alcolico pari allo 0% si parla invece di bevande analcoliche prodotte con mosto d’uva.
     
    Reazioni
    Una risposta arriva da una recente relazione del vicepresidente dell’Accademia della vite e del vino Vincenzo Gerbi rileva che, “contrariamente a questa visione, esiste un segmento del mondo medico che sostiene l’idea di un consumo moderato di vino, considerato da secoli una bevanda complessa e ricca di componenti vegetali benefici. La famosa affermazione di Ippocrate, secondo cui ‘il vino è cosa meravigliosamente appropriata all’uomo’, trova ancora risonanza tra coloro che vedono nel vino non solo una bevanda, ma un elemento culturale fondamentale”.
    Sul versante della provocazione costruttiva entra Carlo Macchi, il quale su Winesurf scrive che si apre un nuovo segmento di mercato, attualmente quasi inesistente ma con grosse possibilità di crescita. Egli ricorda che il grave problema dell’alcolismo in tanti paesi del nord Europa, li ha portati più volte a chiedere (anche ad ottenere) sanzioni sull’esportazione di alcolici da parte dei paesi produttori di vino. Per non parlare di una fetta notevole di mondo dove l’alcol è bandito e con cui abbiamo a che fare giornalmente. Per Macchi, il vino dealcolato potrebbe essere la risposta giusta, anche politica, a un mondo che vuole (a torto o a ragione) eliminare o circoscrivere al massimo la voce alcol dalla sua società e questo togliendo poco mercato al vino come l’abbiamo sempre conosciuto. Infine, sostiene, domandiamoci quanto vino dealcolato si può produrre oggi in Italia. Esistono pochissimi impianti e per costruirne altri ci vorranno tempo e investimenti importanti. Quindi siamo all’anno zero in tutti i sensi.
     
    Etichette, la novità 2024  
    Un elemento che non andrà dimenticato in questo confronto, è quello che, a partire dalla vendemmia 2024, sarà obbligatorio indicare in etichetta le informazioni nutrizionali e gli ingredienti utilizzati nella vinificazione, un passo importante verso la trasparenza. Sarà quindi essenziale che i consumatori siano in grado di interpretare correttamente queste informazioni. Infatti (condividiamo il pensiero di Gerbi), se il vino viene consumato con moderazione e apprezzato per le sue qualità intrinseche, può rimanere una parte significativa del patrimonio della cultura gastronomica.
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