L’oliveto Italia è vecchio e poco competitivo, necessita perciò di essere ristrutturato. Il 61% delle piante ha più di 50 anni; il 49% ha una densità per ettaro inferiore a 140 piante e solo l’1.5% ha più di 400 piante per ettaro.
Di conseguenza la produzione di olio d’oliva nel nostro Paese è in calo strutturale: negli ultimi 20 anni i volumi di olive raccolte si sono ridotti di oltre il 30%, quelli di olio più del 38%, mentre il calo delle superfici si è limitato al 3%; ciò tra condizioni climatiche avverse, frammentazione produttiva (il 40% delle aziende olivicole ha meno di 2 ettari di oliveto), volatilità dei prezzi e della redditività. Una deriva che occorre a tutti i costi fermare.
Sul fronte internazionale il 73% della produzione è in mano a 5 Paesi: Spagna, Turchia, Tunisia, Grecia e Italia, ultima in questa classifica. Gli altri Paesi del bacino del Mediterraneo hanno saputo creare politiche settoriali mirate: Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia stanno crescendo in maniera esponenziale. Non possiamo permetterci di stare a guardare.
Riconquistare posizioni a livello internazionale e attivare una strategia nazionale unica lungimirante con risorse dedicate è il messaggio del settore olivicolo emerso al convegno di Confagricoltura e Unapol a Roma: “Olio di oliva: dalla tradizione al futuro. Prospettive per l’olivicoltura italiana”, con tutti gli attori della filiera e le istituzioni.
“Abbiamo un quadro italiano fatto di luci e ombre e occorre ripensare alla filiera produttiva – ha affermato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – con investimenti concreti e senza far prevalere la visione ideologica.”
Ciò che frena l’Italia nella competizione internazionale – è stato detto -, sono più fattori, a partire da una strategia politica settoriale frammentata, con piani di settore territoriali, mentre occorre che si uniformino a quello nazionale in arrivo, anche per sfruttare al meglio le risorse che saranno messe in campo. Occorre aumentare la produttività, rendere la gestione dell’oliveto economicamente più sostenibile e al contempo favorire azioni di rinnovamento degli impianti produttivi con modelli moderni che consentano di accrescere la capacità competitiva, come gli impianti ad alta densità da implementare senza pregiudizi per varietà.

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