Alla fine “tutto è bene quel che finisce bene”, ovvero l’accordo raggiunto tra i partecipanti alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica che hanno adottato a Roma una importante decisione sul finanziamento della biodiversità.
In sintesi è stata individuata una sorta di road map, da qui al 2030, per mobilitare fondi per la Natura, indicando anche i criteri di un nuovo meccanismo (dal 2028), di finanziamento a favore di azioni di salvaguardia. Ricordiamo che il Protocollo di Montréal fissa l’obiettivo di tutelare, entro il 2030, il 30% della superficie terrestre e il 50% di quella dei mari e degli oceani (oggi solo il 17% della superficie terrestre è area protetta, e l’8% di quella marina).

Un accordo arrivato in extremis, a notte fonda, ma considerato un successo, salutato da un lungo applauso: i Paesi più ricchi si impegnano a stanziare almeno 30 miliardi di dollari l’anno per i Paesi più poveri per la difesa della biodiversità all’interno di un piano che raccoglierà 200 miliardi all’anno entro il 2030. Una cifra che dovrebbe proteggere gli habitat naturali, senza però frenare lo sviluppo, e garantire il mantenimento dell’equilibrio tra le specie viventi sul pianeta, tutelando al contempo la salute umana.

Tutto semplice? Non proprio. Sono profonde le divisioni, specie tra Nord e Sud del mondo: rinviato infatti al 2028 un nuovo fondo richiesto dai Paesi africani.
A Roma erano presenti i delegati di circa 150 Paesi. Ora l’appuntamento è per la Cop17 del 2026 in Armenia.

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