È importante incentivare, a livello di imprese che di istituzioni, lo sviluppo di filiere locali, che offrano opportunità a tutti gli attori del processo produttivo, fino a interessare l’intero tessuto socio-economico. Prendiamo come esempio il comparto della birra artigianale che vale il 4% del mercato nazionale, un prodotto che è entrato anche nel paniere Istat, a testimonianza del suo successo crescente nelle famiglie e ha conquistato i giovani. Il 60% dei Millennial si dichiara, infatti, un conoscitore attento delle varie tipologie di birra, da quelle delle bottiglie da collezione, alle profumate e variopinte.
Un po’ di storia
Con la globalizzazione il settore brassicolo, quello della birra, è molto cambiato e tutti i marchi storici del Made in Italy nati nell’800 sono stati, pian piano, acquisiti da grandi gruppi internazionali. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il comparto ha saputo, però, rinnovarsi, sia negli assetti produttivi che negli stili di consumo, grazie alla nascita dei birrifici artigianali. È stato naturale che all’inizio l’approvvigionamento di materia prima avvenisse all’estero. Ora assistiamo ad una interessante maturazione qualitativa che punta nella direzione di una marcata caratterizzazione territoriale. Un’opportunità anche per le aziende agricole che possono così coltivare cereali (orzo distico, frumento, luppolo, farro e sorgo) destinati alla maltazione, valorizzandoli rispetto agli abituali mercati delle commodity agricole.
I dati
Ad oggi l’Italia, per numero di birrifici artigianali, è al quarto posto in Europa dietro paesi con una grande tradizione brassicola come Regno Unito, Germania e Francia. Un settore che produce in media 500 mila ettolitri l’anno, di cui circa il 20% in biologico, e fattura oltre 250 milioni di euro e dà lavoro a 7mila addetti.
Dal 2015 al 2022 le imprese produttrici della più antica bevanda fermentata al mondo sono quasi raddoppiate (+93%), arrivando in Italia a 1.253 unità, con un incremento di occupati pari al 31%. Protagonisti di questa crescita i birrifici agricoli (21% del settore), che rispetto a quelli artigianali garantiscono una percentuale di produzione di orzo in proprio.
Il luppolo
Il luppolo, soprattutto, potrebbe trarre beneficio dallo sviluppo della filiera e superare le criticità importanti che riguardano una coltura ancora di nicchia, perché ad elevato investimento iniziale. Per chi produce birra c’è, invece, il vantaggio di rendere ancor più unico il prodotto realizzato, non solo perché artigianale. Grazie al legame prodotto-territorio si possono anche innescare importanti processi di attrattività dei luoghi, contribuendo a dare vita ad un “turismo brassicolo”.
L’accordo
Già da qualche tempo molti birrifici stanno sperimentando con soddisfazione l’attività di accoglienza, andando oltre la semplice vendita diretta. È questo il senso di un protoxcollo firmato tra CIA e Unionbirrai. Così commenta la firma il direttore generale dell’Unione, Vittorio Ferraris: “Negli ultimi anni c’è stata condivisone di idee su tutti i fronti, in particolare su quello della valorizzazione della filiera: dalla produzione delle materie prime alla trasformazione, fino al prodotto finito. Una partnership che ci permette di fornire servizi che sono di fondamentale supporto alle piccole e medie imprese”. Gli fa eco Dino Scanavino, presidente di CIA-Agricoltori Italiani: “La birra artigianale non deve essere considerata una realtà di nicchia, perché ha tutte le caratteristiche per ambire a un posto importante nel nostro sistema agroalimentare. La creazione di distretti brassicoli territoriali con un proprio disciplinare di produzione può aprire la strada della denominazione di origine protetta anche al mondo della birra, come già succede per le altre eccellenze del Made in Italy. Questo darebbe maggior valore alle produzioni agricole e potrebbe essere occasione di sviluppo e recupero per tante aree interne o marginali del nostro Paese”.

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