Così Wikipedia: “L’anno lavorativo dei contadini terminava agli inizi di novembre, dopo la semina”. All’epoca, nel secolo scorso – fino al secondo dopoguerra circa -, in assenza di efficienti mezzi di trasporto, il contadino spesso abitava sul luogo di lavoro in un’abitazione messa a disposizione dal padrone per lui e la famiglia. La data scelta per arrivi e partenze, per tradizione e per ragioni climatiche (cosiddetta estate di San Martino), era quasi sempre l’11 novembre, quando la Chiesa ricorda San Martino di Tours. Giorno in cui l’agricoltura fa(ceva) festa, aspettando l’inizio della nuova annata e, con questa, il rinnovo dei contratti nelle campagne.
Il cavaliere Martino infatti, recita la leggenda, soccorse a novembre un vecchio infreddolito (di giorno era anormalmente caldo), donandogli parte suo mantello. Quella stessa notte ebbe una visione: in sogno gli apparve Gesù, il quale, con degli angeli, parlava proprio di lui come una persona di buon cuore, per merito di quel gesto d’altruismo. Al suo risveglio, Martino abbracciò definitivamente la fede, diventando un simbolo per l’intero mondo cristiano. Secondo un’altra leggenda, invece, Martino, per evitare di essere nominato vescovo, si nascose, ma le oche fecero un tale strepito da farlo scoprire e, per lui, fu inevitabile accettare la nomina. Ecco perché l’oca è considerata la carne principale del menù di San Martino.
Come detto, nelle campagne, un tempo, i salariati l’11 Novembre potevano essere riconfermati, nel qual caso rimanevano nella casa dove avevano trascorso l’anno; oppure no, se il fattore non era soddisfatto del loro operato. Allora dovevano andarsene con la famiglia; è il motivo per cui in milanese “fare San Martino” è sinonimo di traslocare. Era ed è una festa in cui si mescola(va)no sentimenti e stati d’animo contrapposti: chi rimaneva era sollevato e contento; chi partiva triste, per l’incertezza del futuro…